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MISERY NON DEVE MORIRE
(MISERY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 marzo 1991
 
di Rob Reiner, con James Caan, Kathy Bates, Lauren Bacall (Stati Uniti, 1990)
Un po' come la fiammeggiante Samantha Eggar dei bei tempi in preda al maniaco di farfalle de Il Collezionista, Misery è la storia di un sequestro: quello di un celebre scrittore vittima di un incidente automobilistico in una vallata sepolta dalla neve , curato dapprima, poi praticamente seviziato da un'infermiera che vive in una casa isolata dal mondo.

Ma se il cinema di Rob Reiner vive anche di riferimenti ad un genere cinematografico (si pensa molto a Shining di Kubrick, poiché si tratta anche qui d'isolamento, di coltelli, di follia, d'uno scrittore, di un paesaggio innevato; come al mitico Viale del Tramonto di Billy Wilder, per la presenza di un donna psicotica e castratrice; oltre che all'inevitabile Psycho per la casa inquietante, e lo sceriffo incaricato dell'inchiesta che sfiora così lentamente la soluzione dell'enigma...) , l'infermiera protagonista non è semplicemente una pazza. È anche , per dirla con le sue parole, "la più grande ammiratrice al mondo" del celebre scrittore che tiene prigioniero. Il fine della sua violenza è allora altrettanto spirituale che materiale: quello di "obbligare" lo scrittore a risuscitare l'eroina , recentemente scomparsa, dei suoi romanzi d'appendice. Quello di piegare ai propri desideri, grazie all'uso della forza, la fantasia di un altro individuo, d'intervenire sul corso della nascita della finzione.

Misery è, allora, naturalmente un film d'orrore, anzi gore come si dice, con tutto il suspense che ciò comporta. Ma è soprattutto un film di rapporti d'amore e di odio, di violenza mentale: l'illustrazione di come un avvenimento materiale possa modificare un blocco intellettuale.

Il cinema dell'autore di Stand by me e di Harry, ti presento Sally sembra sempre più assumere gli aspetti di una riflessione sulle meccanica che conduce alla finzione: ed è solo smontando questa meccanica, questa filiazione che dall'Idea conduce alla Realizzazione, che un'analisi del genere può essere condotta. Misery è il risultato di questo processo: tradotto in angoscia, in spettacolo dell'angoscia, forse meno liberamente che in Stand by me, e meno ironicamente che in Harry, ti presento Sally. Ma con la medesima determinazione.

Un lavoro del genere non può che nascere da una sceneggiatura perfettamente padroneggiata (quella di William Goldman, maestro del genere, autore di Butch Cassidy and the Sundance Kid di George Roy Hill, o di Marathon Man di Schlesinger) , da un soggetto a forti connotazioni autobiografiche (il celebre romanzo di Stephen King, già a sua volta interrogazione sulle angosce dello scrivere, oltre che sulla fascinazione del grottesco e del fantastico), su una regia che s'incolli senza svolazzi all'idea letteraria, su degli attori impeccabili (il redivivo James Caan e la straordinaria attrice teatrale Kathy Bates). Certo, sul finale certe regole del grandguignol gore sembrano avere il sopravvento: ma resta il ricordo di questo duello intellettuale fra vittima ed oppressore, di questa coercizione su di un altro, come su sé stesso per modificare il corso della fantasia per fare di Misery un nuovo aspetto del cinema fantastico.


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